QUANDO IL LAVORO E’ MERAVIGLIOSO (CON QUALCHE ECCEZIONE)

Le avventure di lavoro del geometra Dario diplomato nel 1951 sono così straordinarie da meritare un racconto.

E’ però necessaria una premessa importante: gli avvenimenti che vengono qui descritti non hanno alcuna attinenza con fatti realmente accaduti essendo soltanto frutto della fantasia dell’autore sia pur se avvalorati da esperienze dirette di lavori eseguiti ed alcune volte analoghi a quelli raccontati.

Nei primi tempi che seguirono immediatamente la conquista del diploma di geometra, Dario svolse lavori saltuari nei quali iniziare e fare esperienza in vari campi edilizi fino a venir assunto in una primaria ditta che eseguiva l grandi avori nel sottosuolo.

La sua passione per quel tipo di opere portò presto ad essere direttore e responsabile dei grandi lavori sotterranei che la costruzione degli impianti idroelettrici richiedevano. Tra tutti risaltava un’opera che può destare un vero interesse in quanto, essendo sotterranea, non figura per nulla agli occhi di chi si trova davanti alla diga. Si sta parlando del diaframma di impermeabilizzazione delle spalle e del fondo diga.

Le dighe, questi enormi manufatti in cemento armato sbarrano le vallate dando origine a grandi laghi artificiali che, accumulando le acque di grandi piogge o nevicate cadute in montagna, costituiscono dei grandi depositi idrici atti al alimentare in continuazione e quindi anche nei periodi siccitosi, le centrali idroelettriche le quali a loro volta riforniscono le città e le industrie della corrente elettrica necessaria per la vita dei cittadino ed il funzionamento delle macchine.

Quando accade di visitare una grande diga si resta colpiti dalla maestosità di queste opere e specialmente di quelle fatte ad arco cupola le quali, come si capisce dal nome, sono proprio formate da enormi cupole appoggiate sul fondo ed incastrate nei fianchi rocciosi della montagna per trattenere l’acqua che forma i citati bacini. Ma sussiste un’altra opera, come quella diretta appunto da Dario, tanto invisibile da non essere considerata per nulla dall’occasionale visitatore. Eppure essa svolge un compito importante, né più né meno, dello spettacolare corpo diga a cupola, nell’evitare che le acque del lago abbiano comunque a sfuggire verso valle essendo sempre presenti delle fessurazione della roccia. SI tratta appunto del diaframma di impermeabilizzazione che viene costruito perforando la roccia delle spalle e del fondo diga per oltre duecento metri di estensione ed iniettando tonnellate e tonnellate di cemento. In altre parole il lavoro di Dario consisteva nel costruire una seconda ed invisibile diga costituita dalla impermeabilizzazione continua della roccia . L’importanza di questo vero e proprio diaframma era comprovata dal controllo che Dario e la sua squadra di operai dovevano effettuare a diga finita ed al momento del primo riempimento del lago. Il controllo veniva fatto mescolando all’acqua del lago un particolare colorante di colore verde intenso chiamato fluorescina, il quale prima di tutto non era affatto inquinante ed inoltre rendeva visibile anche alla distanza di qualche chilometro dalla diga la eventuale presenza nei rii o nei fiumi del colore verde intenso della fluorescina. Se qualcuno di questi fosse risultato colorato si sarebbe dovuti tornare a riprendere i lavori in diga, rifare delle perforazioni e soprattutto iniettare nuovo cemento fino a rendere assolutamente a tenuta lo sbarramento della vallata costituito dalla diga in cemento armato e dal suo prolungamento sotterraneo realizzato dal citato diaframma continuo .

Durante i lunghi peridi che Dario trascorreva in questi gravosi impegni accadeva che la ditta di cui era dipendente, avesse da eseguire dei lavori particolari ed allora era spesso Dario che, sostituito temporaneamente nel cantiere di costruzione degli impianti idroelettrici, per la sua bravura ed esperienza veniva impiegato per la risoluzione di tali problemi che, come vedremo, erano del tutto speciali.

Sarà descritta, quale esempio classico, la sottofondazione del campanile storico di una cittadina del veneziano. Il campanile dimostrava da molto tempo delle vibrazioni, dei piccolissimi cedimenti e fessurazioni che impensierivano i tecnici incaricati dei controlli. Si raccontava addirittura che le sue campane non venissero più suonate fin dall’anno 1905 durante il quale ebbe luogo il crollo del campanile di S, Marco a Venezia che alimentò, per analogia, sospetti di instabilità di quello in argomento.

Ebbene Dario con la sua solita squadra di specialisti dovette sostituire per circa un metro di altezza la base del campanile costruita in mattoni laterizi provvedendo al tempo stesso a dotarla di profondi pali di fondazione costruiti proprio sotto all’esistente muro in mattoni. Il provvedimento seguito prevedeva di caricare su ogni palo esattamente il peso che il campanile con la sua mole gli trasmetteva. Per ogni singolo palo il lavoro, molto delicato, ebbe luogo demolendo a piccoli tratti alterni il muro esistente e conficcando, in asse allo stesso muro, i pali di fondazione lunghi oltre 25 metri ma costruiti pezzo per pezzo da molti elementi singoli in spezzoni lunghi un solo metro, fatti di cemento amato ed acciaio ed infissi nel terreno tramite un martinetto che, preso come base di appoggio il soprastante muro del campanile, scaricava sul palo una spinta esattamente pari al peso della soprastante colonna di campanile. Una volta infisso un elemento da metro, tolto il martinetto, veniva sovrapposto il successivo elemento saldando la corona in ferro a quella del precedente elemento pronto a ricevere la spinta del martinetto. Il procedimento veniva ripetuto fino ad ottenere pali di 25 m. di lunghezza. Nella fotografia scattata a fine costruzione dei pali e prima di ricostruire il muro perimetrale in mattoni, si vede questo campanile completamente aereo avendo la fondazione in aria sostenuta da questa nuova fila di pali presente lungo tutto il perimetro.

A questo punto è d’obbligo un commento. È pacifico che sostenere su una fila di pali un qualunque edificio preesistente sia difficile. Però quando si tratta di una struttura strettissima e molto alta come è un campanile la difficoltà è veramente estrema. Ci si può chiedere cosa sarebbe successo se una delle spinte esercitate fosse stata più forte del peso totale dell’intero campanile (campane comprese) e suddivisa equamente tra la dozzina di pali: sicuramente il campanile si sarebbe inclinato sulla verticale finendo per rovinare a terra!

Da segnalare anche un altro lavoro molto singolare. Tutti hanno sentito parlare di quell’opera colossale chiamata Mose e costituita da una enorme fila di paratoie destinate a chiudere tutte le bocche di porto della laguna di Venezia per proteggerla dagli allagamenti provocati dall’acqua alta. Il Mose è un’opera ormai quasi ultimata e già saltuariamente funzionante ma un tempo si sono formulate altre soluzioni alternative per un problema così grosso come quello. Ebbene la ditta per la quale lavorava Dario aveva proposto una sua soluzione sotterranea che faceva parte delle sue particolarissime funzioni e competenze. Ebbene da ditta specializzata in lavori sotterranei, essa aveva previsto, non di costruire paratoie o comunque opere soprassuolo ma bensì di operare esclusivamente nel sottosuolo. Per dare una prova realistica della sua soluzione la ditta ha sollevato di trenta centimetri una casa posta nell’Isola di Poveglia ed offrendosi allo stesso modo di sollevare piano piano tutti i palazzi veneziani eseguendo nel sottosuolo dell’intera città lo stesso lavoro sperimentato a Poveglia, tutt’altro che semplice ma di sicuro effetto e che consisteva nell’iniettare casa per casa nel suo sottosuolo delle particolari miscele di cemento espansivo che avevano la caratteristica di gonfiare il terreno. Tale terreno. aumentando notevolmente di volume, aveva bisogno di espandersi e non poteva farlo se non verso l’alto provocando il sollevamento della superfice del piano calpestabile ed anche degli edifici che vi posavano sopra. Chiaramente il sollevamento palazzo per palazzo per tutti gli edifici di Venezia avrebbe comportato un lavoro colossale e costoso. Al giorno d’oggi che si conoscono le enormi spese sostenute per la costruzione del Mose ci si rende conto che il salvataggio di Venezia era comunque costosissimo.

Si capisce come ancora una volta Dario abbia eseguito, sia pure in piccola scala, un’opera del tutto particolare.

A questo punto si può tranquillamente affermare che l’attività di Dario era tanto singolare da destare senza dubbio la curiosità e l’interesse del lettore di queste righe. Si deve ora annunciare qui di seguito un lavoro, sempre svolto da Dario e che supera mille volte l’interesse e la curiosità di cui sopra. Infatti egli ha nientemeno che diretto lo spostamento di buona parte di quegli straordinari monumentali di Abu Simbel siti in Egitto proprio in località destinate ad essere allagate dall’enorme bacino procurato dai lavori di costruzione della diga di Assuan, una delle più grandi dighe di tutto il mondo.

Ebbene nell’anno 1964 si era messo in appalto un lavoro tanto immane quanto pericoloso e prezioso come il tagliare in tanti pezzi numerati le enormi statue e quindi di rimontarle in posizione identica, posta sulla stessa montagna rocciosa ma 250 metri più indietro e 50 metri più in alto della loro posizione originaria. Dario ha organizzato, diretto e seguito per tre anni quel lavoro. Le parole che si possono aggiungere qui per descrivere cosa è stato fatto non sarebbero senza dubbio sufficienti per dare una rappresentazione chiara del lavoro. Per raggiungere questo scopo bisognerebbe visionare i filmati e le fotografie che Dario conserva gelosamente ma che, per il tragico motivo che sarà spiegato, si rifiuta di far vedere a chicchessia. In ogni caso si può cercare su internet. Basta fare un’interrogazione sui monumenti di Abu Simbel per ottenere descrizioni dettagliate con fotografie e filmati di un’opera grandiosa come quella in argomento.

L’autore vuole qui riportare una confessione avuta dallo stesso Dario, confessione che riguarda un piccolo particolare ma che può destare una vera commozione. Ebbene Dario nell’iniziare un’opera di mondiale importanza come quella di spostare monumenti di incommensurabile valore e bellezza, aveva avuto istruzioni e disponibilità di personale, di mezzi d’opera e di tutto quanto si fosse dimostrato utile per tagliare senza danno quei monumenti in roccia per poterli ricostruire pezzo per pezzo nella nuova posizione. Ebbene quello di cui si vuole dar notizia qui si riferisce alla prima operazione che era senza dubbiò quella più delicata: tagliare in tanti pezzi numerati le enormi parti del corpo di quelle statue. Per poterlo fare c’erano a disposizione tutti i tipi di seghe a motore che si possono immaginare ma potete farvi un’idea di che cosa fece Dario? Egli Scoprì che la modalità più facile e più sicura non era affatto l’uso di seghe a motore anche se scelte tra quelle migliori al modo. Lo strumento che dava più sicurezza ed otteneva il migliore risultato è stata la sega a mano quella stessa sega che che i nostri nonni adoperavano per tagliare i tronchi di legno. E’ composta da una lama dentata lunga un paio di metri ed avente due semplici manici in legno alle estremità. Dario infatti aveva constatato che la roccia che componeva i monumenti era tutta uniforme e di tipo che durava tantissimo attraverso gli anni, come del resto ha dimostrato nella realtà dei secoli passati, ma aveva una caratteristica del tutto particolare: era tenerissima e di facilissima lavorazione . Secondo Dario non c’era niente di meglio che avere due bravi ed intelligenti operai che la sega la manovravano direttamente con le loro mani seguendola minuto per minuto con i loro occhi e soprattutto con la massima attenzione. In questo modo riuscivano benissimo e facilmente a seguire con precisione le predisposte linee di taglio ed effettuare con prontezza gli interventi necessari per ovviare ad impreviste difficoltà e sempre nel modo più immediato e soprattutto ragionato da mente umana come non sarebbero mai state le seghe elettriche.

Sulla sega utilizzata per quel lavoro c’è un ulteriore interessante dettaglio, una caratteristica da tener presente e che porta il nome di “strada” della sega. Con tale nome si intende specificare che i denti della sega non sono mai ben allineati tra di loro bensì vengono piegati con una speciale pinza alternativamente l’uno verso desta ed il seguente verso sinistra rispetto al piano della lama allo scopo di ottenere un taglio leggermente più largo dello spessore della lama stessa. Lo scopo, soprattutto quando viene usata per il legno che è un materiale elastico, è quello di effettuare un taglio più largo dello spessore della lama per evitare l’attrito delle sue due superfici contro il legno che avrebbe notevolmente aumentato lo sforzo di manovra. Dovendo invece tagliare una roccia di per sé molto rigida si è potuto regolare i denti con una strada minima, appena più larga dello spessore della lama ottenendo il duplice vantaggio di un minore sforzo muscolare dei due operai ed inoltre di intaccare il monumento con una fessura di taglio strettissima da cui è derivata una minima alterazione del monumento, una volta ricostruito, rispetto all’originale.

Dario seguí il lavoro con passione e con la massima cura fino alla fine e quindi ritornò in Italia.

La ditta si complimentò per l’ottimo risultato e ritenne opportuno premiarlo facendolo entrare nel novero dei responsabili di tutto l’andamento della società stessa. Pertanto aveva finito la sia pur piacevole attività di realizzazione pratica di opere singolari passando invece allo studio a tavolino di tutte decisioni che la ditta doveva prendere partecipando anche alle riunioni ufficiali dove venivano prese le decisioni importanti. In un primo tempo provava molta soddisfazione nel nuovo impegno decisionale però ad un certo punto dovette per forza essere informato di gravi novità.

L’assegnazione degli appalti, che fino ad allora si basava sulle buone referenze dovute alle grandi e ben fatte opere che la ditta aveva sempre eseguito, percorreva invece altre strade niente affatto lecite e che, come è facile immaginare, erano basate sulla corruzione tramite versamenti illeciti di forti somme di denaro. Ma non si trattava solo di questo. Anche lo stesso Dario doveva entrare in questo gioco pericoloso ma purtroppo diventato necessario. Dario tentò in tutti i modi di restarne al di fuori ma non fu possibile. Si verificò anche il fatto che egli aveva già cominciato nella sua città di residenza la costruzione di edifici di abitazione per la propria famiglia e per quelle dei suoi tre figli e quindi gli necessitava il ricco stipendio che percepiva nella sua nuova veste di responsabile dell’operato della ditta. In conclusione dovette suo malgrado sottomettersi nel compiere azioni che mortificavano la sua correttezza e moralità.

Fatalità volle che proprio allora scoppiasse il caso “mani pulite” consistente in approfondite indagini che misero allo scoperto in tutta Italia una nutrita serie di gravi irregolarità con conseguenze gravissime per coloro che le avevano commesse. Il deleterio fenomeno è noto a tutti. Sono state comminate piene gravissime. In qualche raro caso ne sono derivati perfino dei suicidi di impresari disperati. Anche Dario non poté restarne fuori e dovette subire dei processi penali. In quella occasione, completamente a terra con il morale, Dario comunicò alla sua direzione che semplicemente egli davanti al giudice avrebbe detto tutta la verità confessando tutto quello di cui era a conoscenza senza nulla nascondere. Probabilmente il suo comportamento così corretto davanti al giudice gli portò beneficio e fu condannato solo a due anni di reclusione con la condizionale. In altri termini se per cinque anni non avesse commesso altri reati egli avrebbe potuto considerarsi libero definitivamente.

Tutta questa vicenda piena di cose illecite trasformò completamente Dario facendolo diventare tutt’altra persona.

L’autore si trova spesso con Dario, Và nella sua bellissima casa a bere un caffè. Lì si parla di tutto quanto riguarda la coltivazione del vino cui si dedica attualmente , della nostra vita di vecchi, delle sue scorribande in bicicletta ma mai si può accennare agli splendidi lavori da lui compiuti. Ci sarebbe un estremo piacere di avere altri dettagli soprattutto sullo spostamento del tempio di Abu Simbel : nulla! . Tutto ciò è sepolto nel profondo della sua memoria sconvolta dal truce evento che la ha colpita nell’ultimo periodo di lavoro. È accaduto anche che la direzione di una scuola pubblica che organizza convegni di presentazione di fatti culturalmente interessanti, abbia fatto richiesta a Dario di tenere una conferenza illustrando, con aiuto di filmati, il lavoro di spostamento del tempio di Abu Simbel da lui seguito ma la risposta è stata negativa.

La conclusione del racconto ha luogo confermando che il suo intero testo è solo frutto di fantasia e che eventuali similitudini con fatti realmente accaduti sono puramente casuali non essendo di fatto alcuno degli episodi narrati riportato dal vero