NOBILTA’ DECADUTA

INTRODUZIONE

In una delle bellissime cittadine dei Castelli Romani viveva il conte Antonio membro di una grande famiglia della antica nobiltà di Roma.

Rimasto vedovo a 50 anni aveva continuato assieme al suo unico figlio ventenne la vita di sempre nel suo piccolo castello antico con le varie sale pullulanti di molte opere d’arte comprendenti mobili, arazzi artistici da parete, statue e dipinti di grande valore. all’intorno un giardino con piante lussureggianti.

Un tempo i suoi antenati erano proprietari di grandissime estensioni di terreni suddivisi in aziende agricole ognuna delle quali dotata di casa d’abitazione dei contadini che si tramandavano da padre in figlio l’incarico di coltivare la terra fornendo al proprietario una parte del raccolto che permetteva al nobile di vivere lussuosamente ed aiutato da una numerosa servitù essendo l’organizzazione affidata al fattore che vi provvedeva in tutto e per tutto. La gloria di questa nobile famiglia era andata scomparendo perché da padre in figlio era mancato chi sapesse guidare questo ricchissimo patrimonio convinti che il tutto potesse andare avanti da solo visti i notevoli introiti che derivavano dall’enorme territorio coltivato. Anche il palazzetto residenziale ed il giardino erano gestiti da personale di servizio di prim’ordine .

Il figlio, terminato a fatica il liceo, era da anni iscritto in fuori corso all’università dove avrebbe dovuto laurearsi in medicina ma la sua voglia di dedicarsi a fondo nello studio non gli faceva affatto compiere progressi.

LA SITUAZIONE AL TEMPO DELLA STORIA RACCONTATA

Al tempo della nostra storia, anni 50, le cose erano molto cambiate.

Il succedersi di alcune generazioni nella proprietà e poco portate per una buona amministrazione, unite alle grandi trasformazioni della civiltà, avevano costretto i nobili proprietari a vivere distruggendo via via la grande proprietà agricola con le varie aziende agricole che erano state riscattate dai contadini lavoratori con grandi sacrifici per riuscire a pagare il prezzo essendo di fatto famiglie vissute in quei terreni da tempo immemore.

Ciò che rimaneva erano un esiguo numero di aziende agricole ed il castello dove compariva ovunque lo stemma grafico con la scritta, mille più mille, che lo rappresentava con un significato di difficile interpretazione perché le tre parole erano scritte non da sinistra a destra come la comune scrittura italiana ma all’incontrario da destra verso sinistra. Non si capisce se mille più mille erano le proprietà del casato di un tempo passato o se mille più mille fossero invece gli anni di vita dello stesso casato. Oltre a questo il fatto avrebbe potuto avere un significato di nobiltà anche il solo sfoggiare una scrittura fatta all’incontrario. Forse si trattava di uno scioglilingua, forse di un significato che andava oltre al senso comune delle cose. Era comunque di una modalità di scrittura rovescia di cui i nobili andavano fieri ritenendola di grande valore storico.

Anche il giardino era una meraviglia che, assieme alle molte opere d’arte originali che erano sopravvissute per un motivo specifico e cioè perché costituivano un provento economico del conte di questi ultimi anni di cui si parla in questo racconto. Infatti sussisteva un’insieme artistico-commerciale nel quale di tanto in tanto venivano organizzate dal fattore, che allo scopo delegava competenti direttori, delle mostre a pagamento nelle quali figurava tutto il castello, esclusa una piccola dependance nella quale e per tutto il periodo della mostra, dovevano rifugiarsi il conte ed il figlio. Tali mostre presentavano al conte dei buoni risultati economici che costituivano, assieme al profitto delle poche aziende agricole rimaste, il provento necessario al conte e figlio per vivere.

A questo scopo il conte si era impegnato con sé stesso di non fare quell’operazione che si supponeva necessaria per condurre una vita cosi lussuosa, e cioè di non vendere a poco a poco , per la loro sopravvivenza , nessuna delle opere d’arte presenti nel castello proprio per il fatto che ciò costituiva la maggior parte del provento economico necessario e sufficiente per coprire le spese.

E stato precisato che l’immenso patrimonio artistico era costituito da mobili, arazzi appesi sulle pareti delle sale maggiori, statue antiche e dipinti di celebri autori e di valente bellezza.

UN GRANDE BENE SUSSIDIARIO

Nel castello era presente un altro bene molto cospicuo ed era una specie di antica corona regale proveniente da tempi antichissimi e che consisteva in un ammasso di gioielli di varia tipologia ma tutti tecnicamente incastonati in giro della corona che costituiva, come detto, un patrimonio artistico di notevolissimo valore. Per questo suo grande valore la corona non faceva affatto parte delle opere in visione ai visitatori paganti durante le mostre, temendo potesse venire rubato nella sua interezza oppure decurtato di qualcuna delle molte pietre preziose di cui era costituita la corona. Essa era prudentemente conservata in una mastodontica e ferrea cassaforte la quale, a detta del conte, era assolutamente inviolabile per la sua pesantissima e robusta costituzione e per le difficoltà di apertura della sua porta. Per aprirla infatti erano necessarie ma non sufficienti due chiavi l’una in possesso del conte e l’altra del figlio cinquantenne ma occorreva oltre a questo conoscere un numero segreto che solo il conte conosceva e che bisognava impostare nella apposita rudimentale tastiera presente nel fronte della cassaforte. Da rilevare come la seconda chiave fosse stata consegnata al figlio al compimento dei sedici anni. In quella occasione il conte, nel precisare l’importanza della chiave, aveva raccomandato di conservarla in un posto sicuro che avevano fissato assieme nel mobilio della camera del figlio, posto sicuro nel quale essa è sempre stata conservata.

Si deve aggiungere che nessuna delle persone che si trovavano normalmente oppure solo saltuariamente nel castello, aveva mai potuto vedere questa meravigliosa e preziosissima corona provocando al figlio una grande curiosità che gli sopravveniva ogni volta che gli capitava di toccare la chiave di cui era il legittimo possessore ma che, da sola, non gli consentiva di aprire affatto la cassaforte .

LA PREZIOSISSIMA CORONA REGALE

Un giorno, rovistando casualmente nei cassetti del conte gli capitò di trovare un doppio fondo di un cassetto che lo spinse a sollevarlo e scovare proprio la tanto agognata seconda chiave. La sua grande sorpresa e la curiosità di ammirare la antica corona reale che provava da anni, lo spinsero a far una prova, sicuro come era di riuscire a entrare nel segreto della cassaforte impenetrabile. Prese le due chiavi che fatte girare confermarono il loro perfetto ma non sufficiente funzionamento essendo necessario anche impostare il numero segreto tramite la rudimentale tastiera composta da due file di bottoni l’una sormontata all’altra. Pensò subito al numero che rappresentava il suo casato e cioè – mille più mille – ma inserito due volte il numero 1000 nelle due tastiere sovrapposte non accadde nulla. In quel momento però fu illuminato e trovò la soluzione di un quesito che lo turbava da anni ed anni: veniva a galla il motivo per cui lo stemma letterale della casata era sempre scritto da destra a sinistra. Infatti non si trattava di un linguaggio segreto dei suoi antenati ma semplicemente una istruzione: quei due numeri, mille dovevano essere inseriti anch’essi all’incontrario come regola fissa.

Allora pensò bene di inserirlo con questo ordine. Ebbene la porta si apri ed egli ebbe modo di prendere in mano la pesante corona e di ammirare quel prodigio di pietre preziose incastonate l’una di fianco all’altra. Tutto contento, una volta terminato di ammirare le meraviglie e l’elevato numero di pietre preziosissime, rimise tutto a posto e concluse in fretta l’operazione di chiusura con le due chiavi e con il numero mille scritto all’incontrario per rimettere al suo posto ermeticamente sigillata la cassaforte. Dentro di sé però provò una grande contentezza avendo scoperto una vera ed enorme ricchezza cui al passare dei suoi anni avrebbe sempre potuto attingere sia in presenza che senza suo padre essendo ormai da solo in grado di effettuare quella complicata procedura di apertura della mastodontica cassaforte.

Da segnalare una grave sciocchezza da lui commessa a distanza di qualche anno. Durante una bella serata passata assieme a quella che in quel momento era una delle sue numerose fidanzate e cioè la figlia del fattore dell’azienda famigliare, avendo anche alzato il gomito con bevuta di essenze piuttosto forti che gli procurarono una grande allegria e la necessità di raccontarle qualcosina di forte, le annunciò che aveva una cronaca curiosa ed interessantissima da raccontarle e, facendosi così vedere per la persona importante e di sangue blu come effettivamente era, le raccontò filo per segno l’avventura dell’apertura della cassaforte con tutti i particolari del numero segreto che l’accompagnarono ed anche delle incredibili meraviglie della corona regale contenuta nella cassaforte medesima. Il racconto condito abbondantemente di particolari fantasiosi ed inventati al momento, gli diede quella soddisfazione che solo certe persone nobili possono provare. Una volta esaurita la sbornia si pentì la sera stessa di averle confidato il grande segreto e quindi la pregò di non raccontarlo a nessuno. Come ben sappiamo non c’è niente di meglio della raccomandazione fatta alla ragazza di non svelare un segreto per spingerla proprio a svelarlo non appena si fosse presentato l’occasione ad uno dei suoi numerosi fidanzati che erano succeduti al figlio del conte.

UNA GRAVE SCOPERTA DELLA SITUAZIONE CONTINGENTE

Passarono alcuni anni e l’azienda del conte dal punto di vista economico continuava ad andar bene poiché le entrate, in maniera incredibile, continuavano ad essere sufficienti per coprire le non poche spese correnti e quelle saltuarie di manutenzione dello stabile. Il figlio si sentiva rinfrancato e proseguiva nella sua vita dissipando denaro in tutti i modi

Venne il brutto giorno in cui questa situazione improvvisamente cambiò totalmente ed il fattore si avvide che, stranamente, i conti non tornavano più.

Il conte ormai invecchiato non dava più alcun ordine mentre il figlio continuava a disinteressarsi dell’azienda proseguendo in quella che pensava fosse un tipo di vita ad ordinaria conduzione e normali i risultati economici.

Il fattore, non sapendo cosa decidere, pensò di rivolgersi al figlio del conte mettendolo davanti ad una situazione totalmente nuova e che stava per diventare disastrosa.

Il figlio, da quello sventato che era, invece di preoccuparsi per trovare un rimedio alla situazione prendendo l’unica decisione possibile che era quella di ridurre le spese avventate che egli stesso faceva, continuava a dire al fattore di non preoccuparsi perché egli era sicuro che le cose si sarebbero sistemate da sole. Evidentemente il figlio del conte supponeva che il padre, in un momento di lucidità, proponesse finalmente la vendita della preziosa corona con cui si sarebbe realizzato denaro atto a proseguire nella dissoluta vita.

Passò ulteriore tempo e, visto che le cose andavano sempre peggio il fattore prese alle strette il figlio del conte comunicandogli che ormai l’azienda era in punto di fallire per i consistenti debiti contratti alla banca per superare le difficoltà in atto.

In quel frangente il non più giovane figlio del conte raccontò al fattore la faccenda della corona spiegando che la sua vendita avrebbe risanato la situazione finanziaria tanto precaria e lo invitò ad accompagnarlo nella operazione di apertura della cassaforte e al prelievo della corona con cui si sarebbe risollevato il bilancio economico

Così si fece. Il Conte figlio prelevò la chiave del padre dal sottofondo del cassetto, aggiunse la propria chiave ed inserì i due numeri 1000 scritti all’incontrario per aprire la cassaforte. Il conte prese la corona per mostrarla al fattore ma subi un forte colpo. La corona non era più integra avendo qualcuno asportato quasi tutte le pietre preziose che in origine la componevano. A quel punto accadde una vera e propria tragedia in quanto il conte figlio raccontò che la unica persona che era al corrente della cassaforte e del suo contenuto e delle modalità per aprirla era proprio la figlia del fattore medesimo alla quale il conte confessò di aver, in un serata di ubriachezza, raccontato tutto il provvedimento per aprirla.

Da quel momento successe il finimondo. Il fattore si arrabbiò con tutti. Prima di tutto con il conte figlio che aveva raccontato in giro cose della massima segretezza, Qualcuno ne sarebbe venuto a conoscenza ed avrebbe approfittato per rubare quel vero tesoro. Si arrabbiò poi con sua figlia che gli confessò di aver a sua volta raccontato tutto al suo attuale fidanzato. Fece in modo di parlare a tale fidanzato accusandolo di aver rubato i gioielli. Quest’ultimo si arrabbiò a sua volta perché egli non aveva rubato nulla e d’altra parte come avrebbe potuto se non aveva le due chiavi ?

Un’ultima possibilità di trovare il ladro riguardava il personale di servizio del castello che potrebbe aver capito la procedura da seguire e concernente l’uso delle due chiavi che essi sapevano reperire nei cassetti cui avevano libero accesso nel mentre l’inserimento per due volte invertite del numero 1000 potrebbero averlo capito dalla persistenza molto diffusa ed invertita nel castello della frase tradizionale mille piú mille scritta all’incontrario su tutti muri.

Ne nacque un mistero sulla persona che avrebbe potuto effettuare quel furto.

Al conte giovane sorse un dubbio atroce: ma non poterebbe anche essere il fattore l’autore del furto, visto e considerato che operava nel castello da anni ed anni e quindi ne conosceva tutti i segreti? Il fattore, vedendo che l’economia della famiglia andava sempre peggio, potrebbe anche aver approfittato di questi ultimi anni di lavoro per sistemarsi definitivamente rubando quel tesoro? Gli venne da pensare che forse era il tempo che se stesso si occupasse personalmente dell’economia della famiglia e in questo senso diventava indispensabile trovare chi aveva rubato l’ultimo tesoro e darsi da fare per recuperarlo. Si trattava quindi di un’operazione importante e difficile da risolvere. L’unica persona che egli giudicò in grado di risolvere il problema era l’investigatore Artemisio che sapeva essere molto stimato.

L’INTERVENTO DELL’INVESTIGATORE ARTEMISIO

L’aver deciso per il il professionista adatto lo indusse ad agire subito e, senza dir nulla a nessuno, si recò nello studio di Artemisio, gli raccontò la situazione e gli diede incarico di scoprire il ladro e, possibilmente di recuperare la refurtiva.

Il primo intervento di Artemisio consistette nell’interrogare a fondo il fattore il quale gli spiegò l’andamento dell’azienda, Il fattore seguiva tutto il settore agricolo controllando i contadini e le mostre artistiche che si tenevano nel Castello. A fine operazioni egli versava tutto il ricavato al Conte il quale teneva direttamente la contabilità generale e la cassa del denaro provvedendo a consegnare di volta in volta al fattore quanto necessario per pagare le spese. Tutto era filato liscio fino a qualche mese prima ma in questi ultimi tempi il Conte non gli forniva più il denaro sufficiente per pagare le spese e quindi il bilancio cominciava ad andare in rosso.

In seguito Artemisio volle conoscere in presenza del fattore, tutto il personale che lavorava per l’agricoltura e per l’esercizio del Castello. Quindi interrogò la figlia del fattore ed il suo fidanzato in ordine alla sparizione del tesoro della cassaforte. Poi si fece mostrare dal conte giovane la cassaforte. La prima impressione era quella di una mancanza totale di indizi atti a capire chi avesse commesso il furto.

L’INCREDIBILE SCOPERTA DELL’AUTORE DEL FURTO DELLA CORONA REGALE

Una sola cosa apparve sintomatica ad Artemisio; la coincidenza temporale tra la sparizione dei gioielli con l’inizio della crisi economica dell’insieme Castello-campi agricoli. In altre parole il furto della corona regale o meglio dei gioiello della corona regale aveva provocato la crisi. Ripensò alla convinzione conservata a lungo nel cervello del conte figlio che quella corona potesse , in casi estremi, servire a risollevare l’intera economia della famiglia. Ora questo salvataggio non è più possibile perché i gioielli non ci sono più . Ma non è possibile una sequenza esattamente contraria e cioè che quei gioielli avessero già fatto il loro miracolo che cioè fossero serviti attraverso gli anni al sostentamento dell’economia? Ed in tale ipotetico caso chi avrebbe potuto essere l’attore principale? C’era una persona sola ed era quella che aveva sia la chiave e sia il segreto del numero da inserire nella cassaforte. Questa persona era nientemeno che il. padrone di tutto e cioè il Conte stesso che, agli occhi di Artemisio, aveva tutte le carte in regola per farlo .

Aspettando un momento di lucidità ci si affrettò a mettere alle strette il conte fingendo di accusarlo di essere egli stesso quel ladro che, con ogni possibile aiuto esterno, stavano disperatamente cercando da tempo e chiedendogli di spiegare l’accaduto. Il Conte, respinta sdegnosamente la possibilità che egli stesso fosse considerato un ladro delle cose che alla fin fin erano proprio sue, ammise il fatto e raccontò che erano anni ed anni che egli era costretto a far venire al castello un suo amico commerciante di gioielli e vendergli via via qualche componente della corona per riuscire a far fronte ai debiti che aveva capito andavano aumentando. Spiegò che se i conti per anni hanno quadrato ciò era dovuto alla sua prodigalità la quale, grazie proprio alla vendita della corona regale, gli aveva permesso per molto tempo di immettere nuovo denaro nella cassa del castello.

LA CONCLUSIONE

A questo punto la situazione era chiara. I debiti erano colossali e si dovette prendere la decisione di vendere il terreno agricolo ed anche qualche opera d’arte per soddisfare i creditori ed inoltre ritirarsi a vivere in una piccola parte del castello onde diminuire l e spese. Il conte figlio dovette cominciare finalmente a lavorare imparando ad amministrare la piccola proprietà rimasta, ad organizzare mostre delle molte opere d’arte presenti nel castello e soprattutto a ridurre le spese.

La morale di questo racconto è chiara. Di questi tempi la verità ha prevalso sui vecchi pregiudizi e sulle ricchezze immeritate come erano quelle dei nobili che hanno solo il merito di aver ereditato beni colossali dagli antenati. In conclusionale ai nostri giorno, giustamente, nessuno può vivere dissipando ricchezze senza esercitare alcuna attività culturale o economica o di qualsiasi altro tipo purché atta a realizzare benessere per sè e per la comunità , arte, cultura ecc.