LA COLLEZIONE DI CIMELI

INTRODUZIONE

La vicenda si svolge nel dopoguerra della seconda mondiale.

Enrico è figlio di una ex abitante di un paesino di montagna trasferitasi per il lavoro a Borgosesia, regno della lana e del lavoro inerente, dove ha trovato marito e messo sú casa.
Tutta la sua famiglia era molto religiosa tanto che il ragazzino fece da piccolo il chierichetto in chiesa e diventato poi insegnante di scuola si impegnava in parrocchia a spiegare la dottrina cristiana ai giovani.
Fin da dall’origine la famiglia d’estate trascorreva le vacanze al paesino veneto dove la mamma aveva passato la prima parte della sua vita e lí Enrico aveva avuto modo di apprezzare oltre ai nonni materni anche la bella zona montuosa densa di panorami splendidi. Egli aveva fatto anche amicizia con ragazzi suoi coetanei. e da essi aveva saputo che nei dintorni del paese essi riuscivano a trovare sotto terra dei residuati della prima guerra mondiale. Questo argomento lo ha molto interessato perché faceva parte di una sua passione consistente nel raccogliere cimeli delle guerre passate.
Avendo questa viva passione Enrico attraverso gli anni ha avuto modo di mettere insieme un vero museo di elementi cjhe gli piacevano molto.

LA COLLEZIONE DI CIMELI DI GUERRA

Nonostante egli non fosse affatto interessato di politica, dei partiti e di tutto quanto annesso e connesso, purtuttavia aveva tanto desiderio di raccogliere elementi relativi ai tempi del fascismo italiano. Attraverso gli anni era iuscito ad accumulare veramente una incredibile quantità di oggetti vari come elmetti, manifesti stampati anche a colori che inneggiavano al Duce Mussolini ed al fascismo ma, cosa molto importante, tutto questo dal punto di vista politico non aveva niente a che fare con la sua ben rifornita raccolta. Alla fine presentandosi una vera occasione aveva acquistato una piccolissima casetta di montagna niente affatto abitabile ma che invece si prestava bene per costituire il suo vero e proprio museo dei cimeli descritti.
C’era però un oggetto prezioso, una vecchia moneta rara e cioè le venti lire metalliche del tempo fascista che nel lato principale riportavano Mussolini con l’elmetto da soldato. Questa moneta, che gli era costata una cifra per lui veramente enorme, non poteva far parte del museo che era abbandonato a se stesso sú in montagna ma doveva essere custodita entro un apposito album da monete e che teneva in casa nella sua libreria dove riteneva più al sicuro da possibili furti ed inoltre gli dava modo ogni tanto di guardarsi il bel bassorilievo minuscolo di Mussolini.
Quanto sopra era avvenuto attraverso gli anni ma, una volta sposato, lavorando come insegnante dipendente dallo stato ed essendo divenuto padre di due gemelli cui accudire, aveva da anni sospeso in toto l’attività del museo il quale era diventato una casetta isolata, sperduta in montagna dove nessuno entrava mai e che era quasi sparita anche dalla memoria di Enrico stesso.
In poche parole il suo museo era diventato qualcosa di abbandonato e perciò completamente inutile ma, come vedremo, che sarà origine di grossi guai anche per il motivo specifico che egli parecchi anni prima aveva comprato a poco prezzo anche delle vecchie armi di guerra belle come cimelio, da lui molto ambito, e completamente inutilizzabili per i molti anni trascorsi dall’ultimo loro uso ed inoltre perché alcune loro importanti parti ferrose erano ormai divorate dalla ruggine. Si trattava però sempre di armi non denunciate il cui possesso è vietato per legge.

IL VIAGGIO IN CITTA’

In epoca molto vicina a quella che interessa il racconto, Enrico si recò a Milano per visitare delle qualificate librerie dove usava acquistare dei libri da leggere.
Mentre camminava per la strada gli accadde di arrivare in una piazza dove si stava tenendo un’assemblea molto rumorosa che lo incuriosì. Quando si avvicinò si accorse che i dimostranti sventolavano delle scritte inneggianti al fascismo ed addirittura delle immagini della svastica nazista il che dimostrava la gravità della manifestazione, gravità che Enrico era lontanissimo da intendere per quello di grave che essa significava essendo ben chiaro a tutti che inneggiare al fascismo ed addirittura al nazismo costituisce un fatto assolutamente vietato in Italia. Enrico, disdegnando qualunque modalità di rifiutare quel tipo di dimostrazione chiassosa, al contrario di quello che avrebbe dovuto fare e cioè allontanarsi immediatamente da quella zona, volle entrare tra la folla e per la pura curiosità di approfondire un argomento che lo interessava enormemente non tanto perché egli avesse tendenze politiche di quel tipo ma perché mostravano dei cimeli che egli intravedeva e che improvvisamente gli hanno fatto venire alla mente il suo museo dove sussistevano cose molto simili. .
La mente gli si aperse quando vide arrivare la polizia munita di manganelli e di bombe fumogene e si rese immediatamente conto della realtà. Cominciò a fuggire uscendo a furia di spinte alla folla di dimostranti per poi mettersi a correre per allontanarsene. La prima persona che fu arrestata dai poliziotti fu proprio lui nel dubbio che fosse proprio Enrico che fuggiva il vero coordinatore di una assemblea come quella in atto che era assolutamente vietata.
La conclusone fu tragica perché Enrico si trovò in prigione assieme a sei scatenati fascistoni dove dovette rimanere per una settimana con il pericolo, non tanto improbabile, di essere condannato per gravi reati. Infatti, appena avute le sue generalità, la polizia assunse tutte le informazioni possibili, venendo a sapere anche del suo museo il quale fu subito visitato dalla polizia medesima.
Il riscontro del contenuto museale pose Enrico in una bruttissima posizione essendo qualificato come istigatore del fascismo di cui conservava parecchi manifesti pubblicitari ma, quel che è peggio, come proprietario di armi, per la verità inservibili ma che comunque erano suscettibili di tornare a sparare previa adeguata riparazione.

ENRICO IN PRIGIONE

Mentre era in prigione ebbe modo di conversare a lungo con Mario un ragazzo anche lui arrestato senza colpa almeno dal suo racconto che ad Enrico sembrava sincero. Nel passare delle giornate di triste prigione, Enrico conversò molto con il collega carcerato venendo a conoscere che la sua attività consisteva nel girare i mercatini di un’ampia zona per vendere antichità come piccoli mobili vecchi, fotografie, attrezzi di cucina fuori uso ma che rappresentavano bene le abitudini da tempo tramontate. Appena avuta questa notizia Enrico gli descrisse dettagliatamente il suo museo trovando molto interesse nel nuovo amico il quale esternò immediatamente che era proprio quella l’oggettistica che egli ricercava per la sua vendita nei vari mercati settimanali della sua zona di residenza.
Loro due si chiedevano spesso come poteva finiva quella brutta faccenda nella quale si trovavano incarcerati senza colpa. La questione si aggravò molto quando tutti gli arrestati furono liberati perché completamente estranei a questioni politiche fatta eccezione per Enrico che invece restava in prigione per via del suo deposito di materiale molto compromettente. Prima che l’amico Mario partisse venne concordato la tra di loro l’acquisto da parte Mario stesso di tutto il materiale del museo di Enrico fissando le condizioni economiche in base alle quali egli avrebbe immediatamente svuotato il museo e vendendo per suo conto il materiale riservando ad Enrico la metà del denaro ricavato. In particolare Mario doveva consegnare subito ai Carabinieri le due vecchie armi ottenendo la dichiarazione di deposito delle stesse presso la forza pubblica.

LA LIETA FINE DELLA CARCERAZIONE

Quando poi Mario venne in visita di Enrico per comunicargli che tutta l’operazione era terminata Enrico comunicò alla direzione del carcere che egli non possedeva più alcun materiale del suo museo essendo le armi non più funzionanti consegnate ai carabinieri e tutto il testo venduto alla spicciolata nei mercati rionali.

La polizia contestò il fatto affermando che egli aveva distrutto la prova che essi avevano a portata di mano per incriminarlo come partecipante alla dimostrazione vietata. A quel punto Enrico affermò prima di tutto che egli non aveva partecipato affatto alla dimostrazione ma si era solo fermato per la curiosità che lo aveva preso.
Inoltre affermò che non aveva ricevuto alcun divieto ufficiale di spostamento di quegli oggetti che si trovavano fin da anni ed anni fermi lì in quella specie di piccolo museo.
Egli fornì anche molte indicazioni sul come essi potevano assumere informazioni precise sulla realtà in base alla quale egli mai si era occupato di politica ma che invece era un pacifico cittadino che insegnava in una scuola statale ed anche la dottrina cristiana ai fanciulli del suo paese. Egli aveva moglie e figli cui accudire e soprattutto provvedere al sostentamento economico lavorando come insegnante , cosa che non poteva fare restando in prigione.
In realtà la polizia, esperite tutte le indagini del caso, poté constatare la veridicità di quanto da Enrico sostenuto e poté finalmente lasciarlo ritornare a casa non essendo più proprietario di nulla che riguardasse la brutta avventura che aveva vissuto.

CONCLUSIONE

Enrico, contentissimo di essere tornato a casa, era però dispiaciuto per quei cimeli che non aveva più perché in cuor suo era sempre innamorato di quella oggettistica di cui adesso non conservava più nulla mentre allora avrebbe fatto volentieri quello che non faceva da anni e cioè andare nel suo museo e rivedere tutti i cimeli che gli erano molto cari. Ora invece non ne aveva nemmeno uno, uno soltanto uno per ricordare la sua passione ed il suo museo.

Ad un cero punto gli venne in mente che una cosa preziosissima gli era rimasta: la moneta metallica rarissima da 20 lire che conservava a casa. Di corsa si avvicinò alla libreria e tirò fuori l’album delle monete dove era sicuro avrebbe trovato la moneta con il bassorilievo di Mussolini con elmetto.
Aprì l’album delle monete ma al posto della moneta trovò un biglietto scritto da lui stesso molti anni fa e di cui non ricordava nulla visto il molto tempo passato, quando aveva comprato la sua prima automobile. Lesse con desolazione. Oggi xxxxxxxxxx approfitto dell’alto valore di quattrocentomila lire raggiunto dalla moneta da 20 lire molto rara e che mi servono per comprare la mia prima macchina: una topolino nuova. In conclusione Enrico si venne a trovare nella situazione di non possedere propria nulla che gli ricordasse la sua vecchia passione di cimeli del fascismo. Ciò gli procurò un subitaneo dispiacere seguito immediatamente dal ricordo della brutta avventura comprendente la detenzione in carcere e questo lo rasserenò convincendololo che quei ricordi doveva cancellarli per sempre .