FURTO IN PIAZZA SAN MARCO

INTRODUZIONE

A Venezia la Piazza San Marco rappresenta qualcosa di unico al mondo per la sua bellezza, per i tesori artistici che la circondano sui quali ci sono interi volumi che riportano dettagli straordinari. C’è un altro fattore unico. La piazza San Marco è un contenitore di eccezionalità nei bar, nelle orchestrine che allietano i turisti, nelle vetrine dei negozi. Basterà dire che la sola Vetrina Olivetti progettata dal grande architetto Carlo Scarpa è famosa in tutto il mondo per il modo con cui erano in origine presentate le favolose macchine da scrivere in cui eccelleva la Olivetti medesima e per l’interno dove c’è un velo d’acqua su cui si specchia “Nudo al sole” la bella scultura di Alberto Viani, sotto la bellissima scala e sopra un pavimento in terrazzo veneziano che è un disegno dell’ineguagliabile Carlo Scarpa.
Oltre a tutto questo sono le gioiellerie di piazza San Marco ad avere in esposizione ed in vendita gioielli tra i più belli che si producano al mondo.

LA STORIA IN BREVE

La storia che qui si racconta riguarda proprio una gioielliera di questa favolosa piazza. Inutile descrivere l’importanza artistica ed il valore della mercanzia esposta in quella vetrina e in bella mostra nelle vetrinette interne di quella che viene qui definita “la bottega dei gioielli”.
E’ altresì evidente la cura prestata dal proprietario della gioielleria per la salvaguardia del grande patrimonio da possibili furti. In questo senso la gioielleria, fin da quando sono stati inventati i primi impianti di allarme, ha seguito il loro evolversi attraverso gli anni essendosi sempre preoccupati di dotare il negozio dell’ultimo e più efficiente ritrovato della tecnica atto a salvaguardare il vero tesoro presente. Oltre a questo sia all’interno che all’esterno del negozio erano sempre funzionanti, nei tempi passati, macchine fotografiche e di presa sostituite poi da telecamere affiancate e collegate con i citati impianti di allarme e di comunicazione automatica a polizia e proprietario di eventuali effrazioni.

LA PICCOLA BANDA DI MALFATT0RI

C’era però in zona una piccola banda di malfattori specializzati nel furto i quali da anni ed anni tenevano sott’occhio il negozio ma non riuscivano mai a trovare uno spiraglio per lo svolgimento di un bello e ricco furto di gioielli.
Erano in particolare Gino e Giovanni, molto astuti e preparati nel progettare i loro furti, ad essersi da molto tempo messi in mente di riuscire li, in piazza S. Marco la più bella piazza del mondo, a vincere tutte le protezioni e riuscire a prelevare qualcuna di quelle preziose meraviglie esposte in vetrina. Questa impresa, praticamente impossibile da realizzare, era diventata lo scopo principale della loro vita malavitosa in quanto considerato l’elemento indispensabile per collaudare in maniera forte la loro perversa abilità.
Essi seguivano attentamente le caratteristiche dei nuovi impianti di allarme esistenti in commercio in quanto erano certamente quelli i primi ostacoli da superare poiché il gioielliere sicuramente si teneva sempre aggiornato vista la qualità della merce in pericolo di furto.
Oltre agli impianti di allarme della gioielleria c’era un altro sevizio che avrebbe ripreso in continuazione il filmato della gente presente nella piazza e nei portici e quindi anche gli eventuali ladri mentre scappano. Vi si trovava infatti una serie di telecamere due delle quali orientate proprio verso la porta della gioielleria. Tali apparecchiature avrebbero filmato tutte le persone che passeggiavano sotto i portici ed anche quelle che entravano ed uscivano dai negozi come pure i clienti del vicino caffè che erano seduti in piazza.


Nonostante avessero ben in mente le grandi difficoltà da superare, i due non smettevano mai di considerare attentamente la situazione restando lungamente in osservazione di tutto quello che accadeva durante la giornata entro e fuori la gioielleria.
Avevano sott’occhio la merce esposta nelle bellissime vetrine per cui la sola vista dei prezzi di vendita di alcuni dei gioielli più pregiati, dava modo di pregustare il grande valore della posta in gioco.
Oltre a questo i due compari avevano ben imparato le abitudini del titolare il quale curava personalmente le trattative con i clienti aiutato da un commesso giovane ed aitante. Il titolare arrivava alle ore 9 per aprire il negozio mentre alle 10 vi si aggiungeva il commesso.
Di tutta sicurezza si presentava anche la porta di ingresso alla gioielleria con serramento metallico blindato e con parti in vetro trasparenti e resistenti a qualunque urto. Questa porta veniva aperta dall’interno tramite un comando elettrico a distanza regolarmente preceduto dalla visione su grande schermo del cliente che si presentava a suonare il campanello, cliente che, prima di qualsivoglia azionamento della porta, veniva lungamente interrogato riuscendo anche a visionarne in dettaglio il viso nel videocitofono.
L’entrata era consentita, persona per persona. Anche nel caso si trattasse di una coppia, la porta per venire aperta doveva obbligatoriamente essere azionata per un cliente per volta interponendo una chiusura tra ciascun singolo sia maschio che femmina .
A loro volta le vetrine, che brillavano in una miriade di raggi di luce riflessa da pietre leziose di grande qualità, davano la netta impressione di robustezza dell’intelaiatura metallica e dei vetri di grande spessore ed assolutamente antisfondamento.
Tutte le precauzione descritte rendevano veramente difficoltoso immaginare di poter entrare con metodi forzati come abbattimento di porte o vetrine. Il colpo poteva essere soltanto il frutto di un’impresa organizzata genialmente.

UNA VELOCE RAZZIA

Nonostante le dimostrate difficoltà per un furto di gioielli, il quale, soprattutto se praticato da due principianti come alla fin fine possono essere ritenuti Gino e Giovanni, costituisce niente di più che un evento inattuabile, ciononostante, un mattino alle ore 9,10 cioè a pochi minuti dal suo arrivo al negozio, il titolare della gioielleria riceve la visita di una signora che al citofono aveva dimostrato interesse per l’acquisto di un gioiello essendo regolarmente accompagnata da un uomo. Entra per prima la signora, la porta le si chiude alle sue spalle per essere poi riaperta per permettere l’ingresso del compagno. Questi, come entra nel negozio, estrae un flacone con il quale di tutto punto spruzza sul viso del gioielliere un potente gas che lo fa svenire e piombare addormentato sulla sedia.

Passano alcuni minuti e il gioielliere si sveglia tutto impaurito ma riesce a far partire l’allarme. Arriva prontamente la polizia alla quale Il gioielliere fa rilevare come nelle vetrine risaltino sei contenitori dell’esposizione che sono privi del loro prezioso contenuto, evidentemente rubato dalla coppia che era entrata poco prima. La polizia mette in allarme i vari poliziotti veneziani di servizio ed anche quelli che sono incaricati di verificare i treni e gli autobus in partenza da Venezia. Viene ricercata una coppia che, dalle riprese fatte, risulta formata da donna con gonna rossa e maschio con barba e baffi.

Purtroppo dalle ricerche esperite non si hanno notizie di nessun genere vista anche la scarsa conoscenza di elementi atti alla loro individuazione.
Dall’esame della gioielleria non risulta nessun indizio di effrazione né indizi del furto di nessun genere. Non impronte digitali, sangue o piccoli rinvenimenti di tracce, di orme delle scarpe o di piccoli frammenti di pelle umana : nulla di nulla. D’altra parte nemmeno dalle dichiarazioni del gioielliere si riesce a ricavare qualche notizia utile alle ricerche. Infatti egli non aveva visto niente e non ha alcun elemento al di fuori di un tenue ricordo dei due visi. Un solo fatto può essere utile: il gioielliere che ripete più e più volte di non riuscire a capire come i due lestofanti abbiano potuto uscire all’aperto visto e considerato che la porta blindata, che non risultava affatto manomessa, si era senz’altro chiusa automaticamente pochi secondi dopo il loro ingresso nella gioielleria.
La polizia, considerato che il comando alla porta viene dato per via telematica, verifica la possibilità che i ladri avessero posseduto un proprio telecomando di apertura e chiusura della porta ma non approdano ad alcun risultato. essendo il sistema protetto da perfezionati metodi di sicurezza che richiedevano password non facili da rideterminare.

Da quel giorno passarono mesi ed il gioielliere vedeva allontanarsi sempre di più la possibilità che la polizia arrivasse a qualche soluzione concreta facendolo tornare in possesso dei preziosissimi gioielli. Da un lato egli però si sentiva sicuro del loro ritrovamento in quanto perfettamente conscio trattarsi del furto di di veri e propri pezzi di gioielleria composti da diamanti ed altre pietre preziose che per la loro eccezionale e rara caratura erano noti agli specialisti del ramo quindi facilmente riconoscibili e di difficilissima commerciabilità. Secondo il gioielliere quei capolavori in quel momento non potevano che essere depositati in qualche cassetta di sicurezza dove sarebbero rimasti per molto tempo senza potere essere messi in commercio.

ARTEMISIO

Sentendosi sicuro di poterli ritrovare, il gioielliere pensò di ricorrere all’opera di un grande investigatore che egli sapeva aver risolto molti problemi simili a quelli in argomento : Artemisio.

Appena arrivato Artemisio iniziò le ricerche facendosi spiegare bene la situazione e lo svolgimento dei fatti in tutti i particolari noti. Gli elementi forniti furono così scadenti da essere da egli stesso giudicati di nessuna importanza.
Come era sua abitudine, Artemisio concentrò invece la sua attenzione soprattutto su un avvenimento che appariva secondario ed era la continua ripetizione da parte del titolare della gioielleria della domanda di come avessero fatto i malfattori ad aprire la porta per uscire dal suo negozio senza scalfirla minimamente, senza rompere un vetro, oppure compiere qualche altro malanno del genere visto e considerato che la porta blindata si chiudeva immediatamente dopo l’entrata di qualsiasi persona.
Artemisio diede molta importanza a questa caparbietà del gioielliere e quindi concentrò le sue ricerche sull’elemento che riguardava fondamentalmente l’apertura della porta blindata. Tornò più volte nella gioielleria ed esaminò attentamente il movimento e la sua chiusura a tramite telecomando.

IL MECCANICO GENIALE

E’ da precisare che l’investigatore, quando aveva da risolvere problemi tecnici di quel tipo, era uso interpellare un artigiano meccanico che era una specie di genio in quanto dotato una fantasia fertilissima in fatto di meccanismi di qualunque genere. Il meccanico, quando forniva la prova pratica delle sue geniali applicazioni, non si limitava al solo raggiungimento del risultato richiesto, ma lo faceva in modo spettacolare e clamoroso ancor piú di quanto lo fosse veramente e, come si vedrà, sarà quello il suo comportamento: trovare subito la soluzione illustrandola clamorosamente .

Artemisio, per far presente la genialità del meccanico usava raccontare come lo aveva conosciuto. Era accaduto che un importante impresario edile doveva presentare una offerta per la costruzione di una serie di edifici da adibirsi a prigione di sicurezza e, per vincere l’appalto, doveva prevedere che tutte le finestre delle celle di prigionia, fossero munite di sbarre costituite da un materiale di una consistenza tale da non poter essere in alcun modo tagliato dal prigioniero usando seghe a mano o altri attrezzi simili. L’impresario aveva interpellato tutti i fornitori di acciai speciali e di materiali vari chiedendo se era disponibile un metallo che presentasse le richieste te caratteristiche ma non aveva ottenuto alcun risultato, Tutti gli acciai anche quelli con tempra particolare non potevano garantire in maniera assoluta che non fosse possibile segarli. Allora l’investigatore pose il problema al meccanico geniale. Passarono pochi giorni e quest’ultimo gli comunicò di aver trovato la soluzione: Arrivò con un campione di sbarra di sezione circolare composto da due parti in acciaio temperato: un tondino interno che andava rigidamente fissato alla muratura della finestra ma che presentava infilato concentricamente il secondo elemento che era semplicemente un tubo in acciaio libero di girare essendo di lunghezza appena appena inferiore alla luce libera della finestra. Risultava chiaro che qualora il prigioniero avesse appoggiato la sua sega alla sbarra per segarla questa avrebbe provocato la rotazione del tubo esterno impedendo di fatto il aglio. Questa soluzione fece vincere all’impresa l’appalto in quanto nessun altro concorrente aveva avuto soluzione tanto funzionali.

IL MECCANICO E LA SUA SCARPA

Artemisio dunque chiamò il meccanico geniale , lo condusse nella gioielleria e gli chiese come avrebbe fatto lui se fosse stato un ladro che, fatto velocemente un furto di gioielli, avesse dovuto assolutamente aprirsi un varco per uscire all’esterno del negozio. Il meccanico fece aprire più volte la porta e poi disse : ho trovato! Se io fossi il ladro farei così : fece aprire nuovamente la porta blindata tramite il comando a distanza e poi, toltosi la scarpa a punta che aveva ai piedi e prima che la porta stessa iniziasse a rinchiudersi, infilò la punta della sua scarpa nella fessura che, vi si era aperta lungo il fianco-porta dal lato dei cardini di rotazione. Questa semplice azione bloccò la porta completamente aperta. Allora il meccanico fece finta di intascare alcuni gioielli e quindi, facendo il gesto di uscire indenne dal negozio estrasse la scarpa dalla fessura e se la rimise al piede. Spiegò poi che era sufficiente inserire in quel modo un cuneo simile alla sua scarpa nella fessura per dar modo al ladro di fuggire. In pratica la cosa migliore per il ladro non era evidentemente stata quella di trovare il modo per aprire una porta blindata bensì quella, molto più semplice, di tenerla spalancata per il breve tempo che serviva alla razzia.
Il meccanico andò oltre precisando ad Artemisio che l’accessorio migliore per compiere la funzione di blocco era un cuneo ma non di ferro che sarebbe stato troppo rigido, occorreva invece usare un materiale malleabile come ad esempio il legno per garantirsi di eseguire agevolmente il blocco alla porta aperta ma senza danneggiarla in nessun modo, come era esattamente accaduto.

IL FALEGNAME DELLO SQUERO VENEZIANO

Artemisio fece tesoro di quell’esempio pratico e si informò come trovare un falegname a Venezia. Gli venne spiegato che in quella città non esistevano laboratori di falegnameria ma che i falegnami lavoravano negli “squeri” cioè nei laboratori dove si costruivano gondole e barche di tutti i tipi.
C’era, e c’è ancor oggi a Venezia, uno squero importante e passato alla storia per la qualità di barche e soprattutto gondole che, attraverso i secoli. vi erano state costruite con una vera arte del legno. Artemisio vi si recò prontamente e quando iniziò a spiegare la storia di un cuneo di legno il falegname gli spiegò subito che tempo addietro aveva costruito proprio un accessorio del genere per un giovane scapestrato che egli conosceva bene ma che non gli aveva spiegato a cosa dovesse servire quel cuneo, poiché, da buon conoscitore del legno com’era il falegname, lo avrebbe ricavato da una delle essenze più adatte.

I PREPARATIVI E LO SVOLGIMENTO DELLA RAZZIA

A quel punto la vicenda stava per trovare la sua ottimale fine. Torna quindi utile spiegare di seguito la sequenza effettivamente seguita dai ladri (che erano proprio i noti personaggi Gino e Giovanni) per progettare e quindi realizzare il loro furto-capolavoro.

I due lestofanti si erano in anteprima preoccupati di individuare esattamente quali erano i pochi oggetti da prelevare fissandosene bene in testa la posizione in vetrina e le modalità per contenerli in tasca durante la fuga.
Ma quello che non riuscivano a definire in nessun modo era il modo per entrare all’interno. Anche in questo campo venne presa una decisione preliminare: l’accesso al negozio poteva aver luogo soltanto facendo aprire dall’interno la porta blindata e quindi escludendo ogni tipo di effrazione, come sfondamenti o simili modalità si scasso. Questa decisione conduceva ad una conseguenza certa: il furto poteva avvenire solo di giorno ed in presenza del titolare. Doveva quindi aver luogo al mattino nel periodo che và dalle ore 9 di arrivo del titolare ed apertura del negozio e fino ad un massimo delle 10 quando arrivava anche il commesso.
Nella continuazione del progetto da attuarsi con molta rapidità, i due avevano deciso di dover presentarsi come una coppia poiché la presenza di una donna offriva senza dubbio una sensazione positiva al gioielliere predisponendolo fin dall’inizio verso un buon affare. Risultava pertanto consigliabile che, al momento dell’interrogatorio da subire per ottenere l’autorizzazione di ingresso, le risposte fossero pronunciate da una voce femminile.
Una volta deciso che l’accesso doveva aver luogo esclusivamente tramite apertura dall’interno della porta blindata, nasceva il grosso problema inerente la possibilità di una fuga. Infatti anche supponendo di riuscire in qualche modo ad addormentare il gioielliere con un rapido spruzzo spray di un sonnifero ad effetto istantaneo e razziare in fretta quattro o cinque gioielli di grande valore, come fare per uscire se la porta blindata si chiudeva sempre ed automaticamente nell’istante che faceva immediato seguito all’ingresso?. Tutto appariva irrealizzabile. Quello della fuga sembrava veramente un impedimento insormontabile che avrebbe annullato fin dall’inizio ogni genialità del preordinato furto.
Per tentare di affrontare questo difficile quesito Gino si impegnò interamente nello studio delle caratteristiche della porta blindata installata nella gioielleria. Per poterlo fare compiutamente incominciò con il fotografarla dall’esterno e e poi rintracciare un venditore onde poter osservare da vicino un campione di porta identica a quella reale. La cosa , sia pur con qualche difficoltà, gli riuscì. Trovata la esatta tipologia dell’oggetto si recò in una città non molto lontana da Venezia dove ebbe modo di informarsi bene delle caratteristiche e soprattutto del suo funzionamento. Fu confermato che in quel tipo di porta si poteva effettivamente impostare la chiusura automatica dopo pochi secondi dall’apertura. Trovò quindi assicurazione che qualunque cliente una volta entrato nella gioielleria vi si ritrovava praticamente prigioniero in quanto la sua uscita era condizionata esclusivamente ad un comando di apertura che veniva dato addirittura tramite un piccolo accessorio tascabile , una specie di telecomando come quello della televisione di casa, con cui il gioielliere, e soltanto lui, poteva colloquiare con la porta premendo su una pulsantiera inaccessibile a chiunque altro.
Gino però osservò bene la porta e scopri che per aprirsi girando sui cardini esterni veniva generata una fessura triangolare lungo tutto il bordo porta con cardini. Quando poi il venditore delle porte blindate, per far risaltare tutti i vantaggi della sua merce, precisò che, anche nel caso che durante la chiusura una persona fosse casualmente ferma sulla soglia, la porta chiudendosi non avrebbe assolutamente schiacciata o comunque ferita quella persona poiché sarebbe stato facile ottenerne l’arresto con una piccola pressione manuale, Gino ne poté trarre la conclusione che, in maniera del tutto analoga, il blocco della la porta completamente aperta poteva essere facilmente ottenuto inserendo un cuneo di forma triangolare nella fessura formatasi durante l’apertura.
Egli però non poteva accontentarsi di questa sua supposizione ma volle poter verificarne l’efficacia facendosi costruire da un falegname un cuneo come quello immaginato. Fece una seconda visita allo stesso venditore di porte blindate della volta precedente e gli chiese di poter verificare se, nella porta che egli avrebbe installato nel suo ufficio qualche malintenzionato avesse potuto evitare in quel modo la richiusura. Il rivenditore si rifiutò di eseguire la prova reale su una porta nuova che aveva in vendita e fu questo rifiuto ad offrire a Gino la motivazione per rinviare momentaneamente il finto acquisto della nuova porta. Egli però con quelle due visite era venuto veramente a conoscerne tutte le particolarità compresa una chiara possibilità di furto.

Scelta una giornata primaverile di bel tempo si diede il via al furto – capolavoro seguendo tassativamente le procedure stabilite le quali, oltre a costituire il più cospicuo risultato economico mai realizzato, avrebbero stabilito un vero record nell’affascinante campo dell’arte di arrangiarsi che costituiva lo scopo principale della vita dei due lestofanti.
La procedura inizia e viene di fatto eseguita secondo la seguente sequenza .

1. I due operatori sono Gino e Giovanni. Il primo é munito di baffi e barba finti nonché di una abbondante parrucca nera mentre Giovanni é vestito da donna con una lunga gonna rossa la quale nasconde i sottostanti calzoni in modo che ambedue avrebbero potuto e togliersi a tempo opportuno gonna, parrucche, baffi e barba al fine di non essere riconosciuti dalle telecamere esterne grazie alla loro determinante trasformazione da coppia maschio – femmina ed ambedue, durante il furto, con parrucche di colore scuro per apparire due comuni turisti maschi senza parrucche e barba e baffi subito dopo.

2. La finta coppia alle ore 9,10 si presenta davanti alla porta della gioielleria. La donna suona il campanello e dichiara che, assieme a suo marito, vorrebbe esaminare dei gioielli dei quali lei ha una vera passione. La porta si apre, il gioielliere saluta la signora appena entrata e quindi riapre la porta che si era chiusa immediatamente dopo l’accesso della donna, allo scopo di far entrare anche il il marito per farlo partecipare all’eventuale acquisto.

3. Gino entra con baffi e barba e sfiorando la porta che si sta aprendo. In un attimo, girate le spalle alla moglie che accuratamente lo nasconde allo sguardo del gioielliere, infila il cuneo di legno bloccando, totalmente aperta, la porta blindata .

4. Si avvicina e togliendo di tasca un flacone spray spruzza una nuvola di polvere sul volto del gioielliere il quale cade immediatamente sulla sedia svenuto ed addormentato. Con mossa fulminea i due si impadroniscono dei sei gioielli di cui sapevano a memoria la posizione in vetrina ed escono immediatamente dal negozio. Gino ha messo i gioielli privi di contenitore in tasca, passa rasentando la porta e toglie fulmineamente il cuneo di legno provocando la richiusura della porta blindata .

5. Appena fuori la coppia maschio-femmina camminando normalmente percorre una decina di metri di porticato e poi gira a 90 gradi su una calle molto stretta deserta e sprovvista di telecamere dove vengono tolte parrucche, baffi e gonna e, curando di essere soli, diventano due comuni turisti maschili con in mano un sacchetto di plastica che poi introducono in una cassone della spazzatura per sbarazzarsi di gonna, baffi e parrucche.

6. Comportandosi come normali turisti fanno i biglietti e montano sul vaporetto per la Stazione ferroviaria dove prendono il primo treno in partenza mettendosi cosí totalmente in salvo.

7. Nel frattempo il gioielliere, rinvenuto dallo spruzzo ricevuto improvvisamente, ed essendo perfettamente conscio , ha suonato l’allarme. Arriva prontamente la polizia ed accade esattamente tutto il seguito già raccontato.

LA RISOLUZIONE FINALE DI ARTEMISIO

Come già spiegato Artemisio aveva, grazie alle notizie fornite dal falegname, già in mano la soluzione del problema e la spiegò ovviamente al gioielliere il quale, avuta la lieta notizia, si raccomandò soprattutto un fattore importante : far in modo che non andasse perduto nessuno dei pezzi unici rubati, costi quel che costi! Artemisio fece il modo di incontrare Gino il ladro sulla base dell’indirizzo ottenuto. Dopo avergli fatto capire che era perfettamente al corrente del furto commesso così come egli aveva definito le sue studiate modalità di esecuzione a partire dal cuneo di legno fatto costruire dallo squero, per finire con parrucche, barba e gonna scaricate nel cassone dell’immondizia. Fece capire a Gino quali colpe gli sarebbero state imputate specificandogli i pericoli consistenti in grossi importi da pagare ed inoltre nell’arresto con la prigione da scontare per un lungo periodo.
Per poter alleviare quei gravi pericoli che Gino ed il suo collega stavano correndo, c’era un’attenuante fondamentale ed era la restituzione di tutta la refurtiva. Fortunatamente Gino comunicò che non aveva ancora provato a realizzare denaro dai gioielli perché era ben conscio della loro notorietà e quindi li aveva tenuti nascosti in attesa di tempi migliori.

La storia si concluse con diversi risultati.


In primo luogo i gioielli furono restituiti senza aver subito danno di sorta. Il gioielliere fu talmente soddisfatto che propose ad Artemisio di non mettere il furto nelle mani della giustizia in quanto, una volta restituiti intatti i gioielli, il danno reale risultava assai modesto, ed egli vedeva nel perdono totale, un modo per ingraziarsi i due malcapitati e quindi spingerli a non ripetere un esperimento del genere.


Artemisio si dichiarò assolutamente contrario per diverse motivazioni. Innanzitutto fece presente che la legge prescrive che ogni reato in Italia debba essere denunciato e sottoposto alle pene che la legge prevede. Poi precisò che era stato commesso un fatto giuridico umano vietato dall’ordinamento giuridico dello Stato, cui deve far seguito una sanzione penale. Quindi, chi nasconde tale reato a sua volta commette reato anch’esso punibile con sanzioni. In secondo luogo non era quello il modo per scongiurare il ripetersi di azioni delittuose. Artemisio sostenne invece che quella che si poteva evitare era la causa civile di ristoro dei danni subiti mentre bisognava assolutamente avviare un processo penale che, vista la lieve entità del reato, comminerebbe ai due lestofanti una pena ridotta e per giunta sottoposta alla condizionale. Pertanto Gino e Giovanni non sarebbero affatto entrati in prigione trovandosi così nella condizione di non commettere altri gesti come quello poiché in questo caso farebbero scattare la condizionale obbligandosi scontare in carcere ambedue le pene.
In conclusione Gino e Giovanni furono condannati a soli sei mesi di reclusione con la condizionale . Non entrarono affatto in carcere però rimasero ben coscienti del destino che avevano davanti .