L’ARCHITETTO CARLO SCARPA – IL MIO RICORDO

INTRODUZIONE

La famiglia dell’arch. Carlo Scarpa durante il periodo della seconda guerra mondiale passava le sue vacanze a Quero (BL) alloggiando nell’albergo “AL SOLE di cui era proprieario mio nonno e nel quale sono nato anch’io nell’anno 1932 poiché i miei genitori allora vivevano provvisoriamente in tale albergo. Nell’anno 1935 la mia famiglia si é spostata in una casetta posta proprio dietro al Municipio di Quero ma vicinissima all’albergo di mio nonno che io, ragazzino continuavo a frequentare per incontrarmi e passare il tempo con i ragazzini veneziani che, durante l’estate, erano ospiti dell’albergo stesso. Mio papá, che faceva il falegname nella citata casetta di abitazione, si recava spesso all’albergo Al Sole per aiutare i nonni soprattutto in cucina poiché aveva imparato dalla nonna a fare il cuoco.

LA CONOSCENZA DEI VILLEGGIANTI A QUERO

Io stesso, frequentando l’albergo di mio nonno, ho potuto conoscere Tobia, figlio dell’architetto Carlo Scarpa, col quale mi piaceva molto passare il tempo per la grande differenza che esisteva tra il modo di ragionare e di fare tra Tobia ed i ragazzi del paese. Quest’ultimi ed anche io stesso conducevamo la vita semplice di un piccolo paese di mezza montagna nel quale si conosceva solo l’agricoltura ed il lavoro annesso. D’altra parte anche a Tobia piaceva la diversità tra un piccolo paese e Venezia, cittá unica al mondo, tanto é vero che quando egli veniva nella mia modesta abitazione, che come detto era adiacente all’albergo, voleva sapere tutto di noi ed allo scopo mi faceva aprire tutti i cassetti della cucina e quelli del mobilio comunque disposto meravigliandosi per il disordine che vi regnava. A questo punto è necessario rendersi bene in conto della situazione di paesi come quello in argomento dove l’unica consuetudine diffusa in tutte le famiglie era una estrema povertà a seguito della quale non esistevano acquisti di nessun genere e di nessun conto nemmeno di quelli di generi alimentari come al limite, dell’acquisto giornaliero del pane dal fornaio.

LA VITA DI UN PICCOLO PAESE DI MEZZA MONTAGNA

Anche nella casa nostra , come del resto nella gran parte di quelle del paese escludendo un limitato numero di benestanti come potevano essere il medico, il farmacista ed i proprietari delle botteghe, si consumava solo quello che produceva la campagna ed al posto del pane si mangiava la polenta coltivata da papà accompagnandola con del formaggio proveniente dalla locale latteria dove ogni famiglia contadina portava il latte delle proprie mucche ricavandone appunto del burro e del formaggio venduti a basso prezzo che sostituivano tutto quello che non si pensava nemmeno di poter comprare nelle botteghe. Ogni famiglia possedeva un maiale che, allevato fin da piccolissimo, veniva poi trasformato, grazie ad un contadino specializzato in quell’impegno, in insaccati ed altri tipi di carne da mangiare con parsimonia per farla durare al massimo. Altre tipologie di carni, sempre di provenienza casalinga, erano i conigli dei quali io ho un ricordo particolare perché quando ne veniva ucciso uno io provvedevo a sistemare la pelle rovesciata immettendovi della paglia per poi disporla appesa ad un chiodo all’esterno della casa a seccare per essere poi venduta ad un apposito commerciante che passava di casa in casa per eventuali acquisti di pelli di coniglio, di ossa e di noccioli di pesca che venivamo usati ped fare il croccante. Nei cortili vivevano tante galline con produzione di uova da mangiare e, una volta all’anno da mettere sotto la chioccia per veder nascere i pulcini che ricostituivano il numero di galline destinate alla prosecuzione di una alimentazione con uova, carne lessata di gallina e qualche gallo cotto al forno. Nelle finestrelle della soffitta si trovavano un paio di specie di casettine in legno dove vivevano dei colombi che si rifornivano dell’alimentazione volando non si sà dove ma mettendo al modo dei colombini che, non appena cominciavano a mettere le penne, venivano fatti morire tenendoli con la loro testina sott’acqua per il tempo necessario a farli spirare. Poi spennati e cotti erano pronti per essere mangiati a tavola.
Ho spiegato tutto questo per far capire la sorpresa che tutto questo costituiva per i veneziani che godevano di una diversa situazione economica la quale consentiva alla loro famiglia di passare un mese a Quero nei periodi di caldo estivo. In particolare arrivava Tobia Scarpa proveniente da Venezia e con papà e mamma soggiornava nell’albergo di mio nonno sito in Piazza Marconi e, quando veniva a casa mia, si meravigliava per il nostro modo di vivere così diverso dal suo. Come vedremo più avanti , qualche anno dopo, finita la mia giovanissima età, anch’io ebbi modo di meravigliarmi del loro modo di vivere perchè avrei avuto la fortuna di essere ospitato per una ventina di giorni in tre estati successive nella loro bellissima casa di Venezia.
Devo dire che oltre alla compagnia di Tobia io, fin da giovanissimo, ho cominciato a conoscere il grande architetto che allora era il prof. Scarpa. In loro compagnia ho più volte fatto a piedi delle passeggiate specialmente nei dintorni del paese e con il grande Scarpa che si fermava e a mè e Tobia faceva notare dei particolari delle vecchie case di abitazione dei contadini che egli apprezzava molto mentre io, trattandosi di elementi per mé usuali, non solo non apprezzato affatto ma addirittura mi chiedevo come mai egli badasse a quelle che per me erano stupidaggini ed invece non parlasse delle grandi opere che egli di già progettava e che per mé erano novità di grande interesse.

LA SIGNORA GINA OLIVA COGNATA DI SCARPA

L’occasione che il grande Scarpa frequentasse un paesino come Quero era dovuto al fatto che proprio in quel paese risiedeva da molti anni la Sig.ra Gina Oliva che era la sorella della moglie Nini dello Scarpa.
L’aver nominato quella persona mi iduce a fare un salto nei tempi del racconto raggiungendo il doppio scopo di far presente la Sig.ra Gina ed al tempo stesso descrivere alcune prese di posizione del personaggio principale che lo caratterizzano.
Erano passati molti anni e la situazione generale della vita era totalmente diversa da quella prima descritta. Quello che conoscevamo come il prof. Scarpa era diventato una personalità giá nota in tutto il mondo, la Sig.ra Gina abitava sempre a Quero mentre io diventato un geometra che lavorava Venezia presso una filiale italiana della CGE, Compagnie Gènerale des Eaux di Parigi.
Un giorno in piazza a Quero incontro la Sig.ra Gina la quale ha bisogno di chiedermi un favore. In pratica lei, essendo al corrente del fatto ben noto che io da giovane ero stato ospitato nella casa sita a Venezia in Rio Marin 864 dove allora viveva Scarpa, mi chiede se avessi potuto fare un sopralluogo in Rio Marin perché era accaduto un fatto strano. Mi dice che suo cognato con la sorella Nini, moglie di Scarpa, a partire da alcuni anni, abitavano ad Asolo dove il grande architetto aveva asserito sarebbe rimasto soltanto per il periodi di restauro della casa di Rio Marin. La cose in realtà si erano svolte in altro modo perché il restauro della casa veneziana non era mai iniziato e i due Scarpa continuavano ad abitare ad Asolo mentre della casa di Rio Marin nessuno si era mai interessato per nulla. La Sig.ra Gina mi pregava di fare un sopralluogo per poter dirle se la casa era a posto.
Io ovviamente ho provveduto ad andare a Venezia al n. 864 di Rio Marin dove ho potuto facilmente entrare nella casa per il semplice motivo che la ho trovata semidistrutta. Evidentemente erano penetrati dei malviventi che, dopo aver asportato tutto quello che c’era dentro, compresi dei bellissimi campioni di vasi in vetro che Scarpa si era tenuto per sé dalla vetreria di Murano, avevano distrutto porte e finestre lasciando entrare per anni il maltempo che aveva fatto il resto danneggiando tutto a partire dalla copertura per arrivare fino al piano terra.


Ormai che sono in argomento con la Sig, Gina voglio raccontare un altro episodio. Erano passati un paio d’anni e la incontro per strada. Lei mi ferma perché vuole raccontarmi un altro episodio. Aveva appena ricevuto dallo Scarpa luna strana richiesta. Il grande Scarpa in quei giorni si trovava in Giappone per ritirare un sostanzioso premio in denaro per aver vinto un concorso importante, però le chiedeva di spedirgli subito del denaro in quanto gli era necessario per sostenere le spese di rientro in Italia visto che egli era totalmente senza soldi. Gli era accaduto di vedere un’opera d’arte così bella che ha voluto comprarla a qualunque costo. Siccome non era affatto in vendita egli ha offerto tutto il denaro che aveva in tasca compreso quello del premio e quindi non era più in grado di pagare il viaggio di ritorno.

VICISSITUDINI CARATTERISTICHE DELLA VITA DI SCARPA

Tornando ai vecchi tempi quando egli andava in vacanza a Quero vorrei raccontare l’episodio della lepre al cioccolato. Si tratta di un piatto che mio papá aveva a suo tempo preparato all’albergo al Sole dove era ospite l’architetto che ne era rimasto così entusiasta da dirgli che avrebbe desiderato mangiare quel piatto però a casa di papá Guido come egli definiva mio padre e dove sarebbe andato per gustarlo assieme ad alcuni amici. Furono inutili le parole di mio papà sulla modestia della casa, Scarpa voleva mangiarla lì a casa mia senza possibili alternative. Un bel giorno mio padre gli segnalò che aveva trovato la lepre e quindi l’avvenimento ebbe effettivamente luogo. Servito a tavola i piatti mio papá disse al prof. Scarpa che quel piatto immerso nella cioccolata liquida avrebbe dovuto essere preso direttamente senza posate e quindi con le mani. Scarpa si dichiarò totalmente dissenziente ed iniziò con le posate. Quando ebbe finito si alzò in piedi ed io ricordo esattamente le sue parole. Papá Guido, disse, ti avevo detto che mai avrei mangiato la lepre con le mani ma ora che ho finito ti dico che vorrei essere qui completamente nudo per potermi passare per tutto il corpo questa buonissima cioccolata liquida.


Gli anni passavano in fretta, Carlo Scarpa diventava sempre più celebre ma continuava ad intrattenere qualche rapporto con il paesino di Quero soprattutto per avere dei servizi da parte di gente semplice come quella d un paesino di nessuna Importanza, É passato alla storia il caso del nuovo paltò bianco che egli richiese a Gigi Faccinetto, un bravo sarto querese. Al riguardo egli fece delle richieste precise, innanzitutto egli lo voleva in cascemire un tessuto leggero fatto con pelo bianco di capre indiane.
In secondo luogo diede al Sarto il suo paltò vecchio ed ormai consumato dal lungo uso che ne aveva fatto, e precisò a Gigi che il nuovo capo avrebbe dovuto essere identico a quello vecchio. Il Sarto provvide a trovare i tessuti necessari a provarlo e riprovarlo ed alla fine invitò a il grande Scarpa a Quero per la consegna. Come vide il paltò nuovo, Scarpa lamentò che, secondo lui, non era uguale a quello vecchio. Per avere una prova pratica prese nelle due braccia i due paltò e li gettò contemporaneamente su due poltrone che erano lì vicino e poi disse a Gigi vedi che non cascano ambedue nello stesso modo !

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Come già accennato io ebbi la fortuna di essere invitato per tre estati di fila essendo ospitato a casa del grande Scarpa per viverci un bel periodo assieme a Tobia.
Devo affermare che in quelle occasioni io ebbi modo di assistere a numerosi episodi molto interessanti. Prima di tutto al grande Scarpa piaceva portare con sè noi due ragazzi in certi suoi lavori per mè interessantissimi. Prima di tutto io andai più volte a Murano dove Scarpa e quindi anche io e Tobia assistevamo alla costruzione di vasi in vetro molto elaborati e progettati dallo stesso grande architetto. Egli ne seguiva la costruzione davanti al forno da dove lo specialista del vetro lo estraeva dalle braci tutto rosso e caldissimo. Scarpa ne seguiva personalmente la modellazione spiegando all’operaio la forma da dargli e molto spesso di rifare completamente il lavoro dall’inizio a modificando i vetri più volte per fargli usare dei colori diversi fino ad ottenere quello che che egli desiderava

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Un’altra volta sono stato al Lido dove si stava modificando un edificio della biennale secondo le disposizioni dello Scarpa. Infine ricordo quella volta che egli ci portò a Treviso per visitare una grande chiesa di cui non ricordo il nome ma che rammento molto grande e tutta fatta di mattoni a vista .

Ho anche in mente un episodio da raccontare anche se Tobia al giorno d’oggi non lo ritiene valido in quanto­ non gli risulterebbe affatto che il padre sapesse guidare la gondola a causa delle ben note sue difficoltà di guida. Invece io ricordo benissimo di aver fatto il giro dei canali di Venezia seduto su una gondola guidata dallo stesso Scarpa. Mi ricordo addirittura che arrivati in fondo ad un canale dove non si vedeva se ci fossero state altre imbarcazioni di senso contrario ed allora il grande Carlo gridava esattamente queste parole che mi sono rimaste impresse :Oè pope !


Un’altra cosa che che ricordo molto bene è la grande sala della casa dove egli lavorava su un grande tavolo da disegno posto al centro e che non era munito di tecnigrafo, ma solo di un parallelografo composto da una lunga riga da disegno che si muoveva parallelamente essendo regolata da due sottili fili di canapa posti ai due lati.
In questa sala io e Tobia stavamo tranquillamente in un angolo a giocare con il meccano di Tobia stesso. Io avevo costruito con Tobia un piccolo motore elettrico ottenuto dalla modifica di una dinamo di bicicletta cui avevamo aggiunto una elettrocalamita ed un collettore elettrico cilindrico con due contatti striscianti che fornivano gli impulsi elettrici necessari per farlo girare. Potrei dire che quello da noi costruito. per i tempi dei quali parliamo, poteva essere considerato un piccolo capolavoro apprezzato, per le nostre improvvisate modalità, anche dal grande Scarpa il quale in quella occasione si dimostrò, come vedremo, di essere anche buon conoscitore della tecnica pratica. Nella intelaiatura del meccano avevamo installato più ingranaggi che giravano spinti in diverse velocità e diversi sensi di rotazione. Però a furia di aggiungere più ingranaggi il motorino non ce la faceva più a farli girare ed allora io ho suggerito a Tobia che ci sarebbe voluto del lubrificante e, in assenza di quello, io avevo consigliato di prendere qualche goccia dell’olio d’oliva che la sig.ra Nini usava per condire l’insalata. Stranamente il grande Carlo Scarpa mi sentì e, sospeso il suo lavoro, venne a dirmi che l’olio di oliva era un cattivo lubrificante che avrebbe bloccato tutto il nostro meccanismo. Racconto questo episodio per far capire come l’architetto aveva chiare in mente anche regole tecniche che esulavano completamente dalla sua competenza specifica ma anche che però egli dimostrava di conoscere a menadito !.


Un altro giorno il grande Scarpa ci ha raccontato un episodio dell’attore Charlie Chaplin che ricordo benissimo.

Da notare come tutto quello che l’architetto ci diceva aveva sempre una motivazione specifica per costituire altrettanti insegnamenti che io rammento chiaramente anche oggi a distanza di moltissimi anni. A questo riguardo io mi sento tutt’oggi una persona fortunata perchè ritengo che in tutto quello che io ho fatto nella mia vita, nella mia reale costituzione e formazione personale che mi ha accompagnato in tutto il mio agire, hanno ben contribuito, assieme agli insegnamenti dei miei genitori e della scuola che ho frequentato abbiano contribuito non poco anche quei pochi ma determinanti insegnamenti ed esempi che ho avuto nientemeno che dal grande Carlo Scarpa. Di questo dettaglio io posso andare fiero e ben riconoscente anche al giorno d’oggi essendo un ultranovantenne.

Torno al racconto di Scarpa, anch’esso avente una motivazione importante, pechè ci spiegava la grandezza di Charlie CHaplin che in un film stava imitando perfettamente la persona che si trovava davanti ad una cornice senza lo specchio. L’imitazione era perfetta che e Chaplin stava ripetendo specularmente i movimenti dell’altro ed in maniera cosi somigliante da far credere che si trattasse di un vero specchio avente un solo protagonista. Ad un certo punto il primo personaggio prese uno straccio per pulire lo specchio che gli sembrava sporco. Allora Chaplin prese anche lui uno straccio ed i due, mano contro mano posti uno esattamente di fronte all’altro, sembravano veramente pulire lo specchio come fosse presente mentre era solo una perfetta illusione mimica. Ebbene questo racconto conto io lo sto ripetendo dalla viva voce di Scarpa che, a distanza di moltissimi anni, ricordo esattamente come la ho sentita uscire dalla sua bocca .

LE OPERE CHE SCARPA HA LASCIATO AL MIO PAESE

Il grande Scarpa ha lasciato anche al mio paese delle opere che lo ricordano attivamente. In particolare c’è la tomba dove è seppellita sua cognata Bice Lazzari anche lei artista di grido ed oltre a questo ha progettato due case di abitazione che si notano per la diversità con dell’edilizia del dopoguerra..

L’ISPIRAZIONE DEL GOCCIOLIO DI UN RUBINETTO

Vorrei terminare questo racconto con un ultimo episodio che può servire a dare un’immagine vera del grande artista. Egli nella casa dove abitava ad Asolo aveva in cucina il rubinetto del lavello che gocciolava tanto che Nini, la moglie, ha telefonato a Remo Curto , idraulico da Quero, per aggiustare il rubinetto. Questi intervenne prontamente e, sostituendo il rubinetto con uno nuovo, risolse il problema. Quando poi Scarpa cominciò a disegnare sul tavolo della cucina si accorse non riusciva nelle sue grandi invenzioni progettuali. Preso il telefono chiamò Remo Curto di Quero facendolo intervenire immediatamente per ripristinare subito subito quel rumore di. gocciolio d’acqua senza il quale egli non riusciva più a progettare ed infatti Remo riuscì, molto a fatica, a far gocciolare il nuovo rubinetto nella identica maniera di prima e soprattutto facendo lo stesso ritmo sonoro.

CONCLUSIONE


Nella complessa realtà del grande personaggio Scarpa viene dimostrato come il nostro cervello lavori per suo conto e come riesca a produrre nella nostra mente cose ineguagliabili con una sua propria logica. In questo caso ha imposto a Scarpa una sua rmodalità senza la quale egli non sarebbe riuscito a progettare nulla, facendo invece intervenire una potenza inimmaginabile e favolosa del cervello umano !.

Si capisce bene come al sottoscritto la figura dell’architetto Carlo Scarpa risalti essendo fissa nella mente con tutti isuoi dettagli tanto è vero che la mia memoria, di solito molto abituata a dimenticanze di tutti i tipi, nel caso di questo personaggio mi ha impresso dei particolari così profondamente da ricordarli minuziosamente. Devo aggiungere che per scrivere di un personaggio cosi importante come quello di cui si parla occorrerebbe una penna di alto livello. Spero che la mia modesta qualità di scrittore sia comunque servita per ricordare degli episodi di vita vissuta che sarebbero senza dubbio andati perduti se non mi fossi sforzato di farlo io con la modestia che mi distingue.